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Paolo Levi su “La Repubblica”, pagina arte e cultura, del 17 dicembre 1996

Questa pittrice torinese, che ha studiato (lo si nota dalla bella e raffinata tavolozza) all’Accademia Albertina, ama cimentarsi con il reale ma scelto nella sua complessità figurativa. I soggeti della Bottari, appunto, abbisognano di più elementi preparatori. La scelta poetica di fronte ad una catena arruginita di una barca, ad un molo di attracco ripreso nella sua surrealtà di copertoni antiurto e cordame, di vele stese sulla barca, come un ambiguo lenzuolo. Il secondo elemento è senza alcun dubbio il colore. L’olio su tela della Bottari e figlio di più velature. La pittrice è attenta ai passaggi cromatici, alle sfumature impercettibili, ai pazienti passaggi ed accostamenti. Sono privilegiati i blu violacei che alludono al tramonto marino, il bianco che allude alla luce, il grigio, l’ocra. Tutto questo palcoscenico non esisterebbe senza l’arte del bel disegno.

 

Antonio Miredi su “Corriere dell’Arte” di Torino e della provincia del 7 dicembre 1996
L’esordio torinese di Angelica Bottàri ha tutte le carte in regola.

Arriva dopo una personale, due anni fa, a Città di Castello, presentata da Angelo Mistrangelo e si presenta con una pittura calibrata improntata da una cifra con una personale lettura del dettaglio iperrealista. Il filo narrativo che lega la maggior parte dei quadri che hanno invaso la galleria,è quello di un “intrigo” tra realtà e sogno, immagine rappresentata ed immaginario celato. Può essere stato anche questo ad indulgere Gianni Pellerey a intitolare “Sogni Proibiti” l’attuale percorso artistico della Bottari: “ … inconscio pittorico inqietante come un dolce veleno…”. In effetti di fronte ad una pittura così precisa ma nello stesso tempo astratta, così fotografica e nello stesso tempo segreta, c’è una dimensione di spaesamento ipnotico. La seduttività di una trama, di una maglia che si riela malìa. Ciò che avviene al linguaggio, gisustamente struttura dell’ inconscio, per Lacan. “Sogno platanico”, infatti , non è solo un titolo ironico, un giocare felice con le parole, è un rimando poetico, persino nell’allusività filosofica: quella di una foglia morta che si stacca dall’ albero, di un tronco che cambia corteccia come la pelle di un serpente. E del resto, le catene , le funi, i nodi,i lacci, i fili della pittura dell’artista, assomigliano al “teatro” di una segreta, sono segni che appartengono ai porti, agli ormeggi, agli approdi. Viaggi di storia che la ruggine ed i teli non hanno dissolto o negato, ma solo velato, come il sipario di una scena.

 

Angelo Mistrangelo

Il percorso della ricerca di Angelica Bottari si identifica con le esperienze dell’arte del secondo dopoguerra, con la cadenza di una rappresentazione che trova una naturale ascendenza nell’Iperrealismo di scuola americana, con la successione delle immagini cherivelano la sua volontà dicogliere i vari aspetti della realtà. Si tratta, in effetti, di una interpretazione dell’ambiente circostante, di una visione degli oggetti comuni, dei frammenti di cielo, degli angoli di una nave, che emergono nitidi dal contesto della composizione. La pittura della Bottari appare, quindi, estremamente calibrata, rarefatta, improntata da una luminosità che trasporta ogni elemento della struttura in un’ area espressiva rigorosamente concepita. Formatasi all’Accademia di Belle Arti di Torino, questa pittrice ritorna ad esporre dopo un lungo e appartato impegno, dopo aver trascritto sulla superficie del quadro ogni particolare, ogni colore, ogni immagine capace di evocare luoghi e sensazioni e interiori emozioni. L’indagine intorno al suo mondo pittorico rivela una non comune sensibilità nel “costruire” un discorso in cui prendono forma le strutture architettoniche di una chiesa, la linea elettrica di alimentazione di una locomotiva, una panchina, una sdraio e la suggestiva definizione di una figura sdraiata mentre riposa. Le figure della Bottari sono sempre acefale. Si negano all’osservatore, sembrano impedire una diretta analisi del volto, dei dati fisionomici, dello sguardo, dal quale traspaiono gli eventuali dubbi e le certezze, le angosce e le mai sopite speranze. E’, quindi,l’uomo con tutta lasua inespressa vitalità che Bottari riscrive con puntualità, con la strenua energia di un ricordo che si fa testimonianza, ricerca di una libertà che prevalica ogni scontata quotidianità per approdare a una composizione elaborata con estremo nitore. E, così, il dettato racchiude la solitudine di un’anziana signora, una cariola, un ragazzo e soprattutto, i rami di platano e le foglie risolte con un segno meditato, tagliente, pronto a circoscrivere una gomena, una lattina di CocaCola, una catena. E attraverso questa pittura la Bottari suggerisce una chiave di lettura della realtà, rivela una piacevole resa del soggetto che costituisce un mezzo per trasmettere la propria visione dell’ esistenza.

Mostra Personale, Galleria “Vasari” ,Città di Castello 29 ottobre 1994

 

Gianni Pellerey

C’ è nel lungo, pigro indugiare dello sguardo dell’Artista un che di indolente, di falsamente distratto che si attarda, con quasi ostentata voluttà, a cogliere il secondario, il marginale, la “non essenza ” delle cose, il vuoto contrapposto al pieno, l’inerzia al moto, o l’inutile o l’incompiuto o l’inconsueto alla prevedibilità del razionale. Si esprime una arguta e sorniona sensibilità verso l’imparziale onnipotenza della casualità, con gusto sublime che spesso sconfina nel culto del paradossale. Come ‘ attimo di silenzio che a volte, quasi per magìa, sorprende i numerosi commensali in lieto e rumoroso convivio riuniti, e che, se pur cristallizzato in eterna dilatazione del tempo, comunque presuppone il concitato riprendere della conversazione, così si ha la sensazione che qualcosa di sospeso, di immanente stia per accadere, che ‘azione sia comunque dietro l’angolo, fosse anche solo l’innocente ritorno del muratore alla sua carriola, o l’arrivo del padrone della barca ,indifferente al muto invito delle cime appena lambite dall’acqua,che chissà perchè non ha ancora tolto il telo e levato gliormeggi, visto che c’è anche il sole! Avverto un sapore di minimalismo in questi incantati racconti pittorici …. Le quotidiane nature morte di Angelica, quindi, morte non sono, anzi, sono momenti di calma apparente che regalano sensazioni di vita. Solo così si giustifica il soggetto della vecchia signora con scarpe da uomo,con la sua piccola storia da sommerso emotivo, ultimo fotogramma di quella deriva di immagini marginali che lentamente riaffiorano, con muta esplosione di colore, a dignità espressiva,o l’intrigante ermetismo di una sedia a sdraio vuota che attende il ritorno di un qualcuno che maestosamente riappoggi il sedere, o l’orgoglio di un grumo di gomene presto chiamato a chissà quali prodezze ponderali, o gli arrugginiti cavi, complemento di un treno dalla tecnologia accomodante e antiquata che, c’è da scommetterci, passerà alla velocità di un locale in uno spudorato giubileo di scintille, elogio un po’ patetico a meccaniche improbabili e tardo positivista omaggio all’elettricità (!), poetica di quasi compiacente commiserazione neorealista verso il mondo dell’ avvenire tecnocratico .

Mostra Personale “Sogni proibiti” , Galleria “Fogliato” , Torino 3/21 dicembre 1996

 

PIU’ VERO DEL VERO
Mostra di Calcio

Questo vuoto che rinvia all’uomo suggerisce il recupero di una dimensione immaginativa, qual’è quella che viene dalle recenti tele di Angelica Bottari.
L’utilizzo di un elemento rigido ( catena o barca ) e di uno liquido ( acqua ) aiuta a definire la duplicità dell’immagine, costruita tra immobilità e movimento.
Se da una parte, dal punto di vista narrativo, l’assenza della figura umana connota, in una certa misura, il racconto, la presenza di contrastanti elementi espressivi, in assenza di personaggi umani, viene a dare una nuova dimensione alla vicenda rappresentata: in un universo immobile, esiste questa variazione, questa minima dimensione “altra”, tutta l’immagine.
La rappresentazione, da reperto freddo di una realtà abbandonata e lontana, si trasforma in una situazione più emotiva, diviene un trampolino vitale per iniziare quel viaggio verso una diversa dimensione dello spirito: e questa conquista, questo viaggio rappresentano ad un tempo una metafora della poesia, ma anche del vivere.

Mauro Corradini

 

 

…E’ la scelta in direzione della “mimesi”, dell’imitazione della natura, della piena adesione alla realtà alla quale si viene a contrapporre l’arte astratta, non figurativa, aniconica. Eppure, mentre l’arte astratta spesso suscita rifiuto o incomprensione totale, quella “cosiddetta” figurativa genera fraintendimento: lo spettatore non riesce a penetrare di là dell’apparenza, ma si ferma al di qua, non comprende che dietro un’ingannevole semplicità si cela invece un’inaspettata complessità, non osa guardare oltre lo specchio…
….o meglio l’artista cerca di risalire alla specificità dell’oggetto alla sua valenza universale, al suo più intimo significato, che è presente in tutto il reale.
La difficoltà sta nel fatto che l’artista non vuole rivelare pienamente, ma piuttosto suggerire, dare piccoli indizi che ci conducano sulla strada giusta, “ sull’altra via “ da scoprire per esplorare. La capacità di restituire le infinite possibili varianti dell’oggetto sta proprio nel rapporto amoroso, passionale che l’artista instaura con esso; da questa intimità, famigliarità con la cosa scaturisce la possibilità di cogliere l’idea, rivelare l’essenza oltre l’apparenza.
Soltanto il privato quotidiano può essere raffigurato con una tale precisione, con una tale accuratezza di dettaglio, con una tale verosimiglianza da lasciare perplessi e sbigottiti: tanto vero da sembrare falso, tanto perfetto da ricordare che invece nulla è perfetto, ma, fragile, caduco e corruttibile…
…Così la luce e lo spazio si uniscono alle cose, diventando essi stessi protagonisti sulla tela. Ciò che interessa è certamente la perfezione del dettaglio, ma anche, e soprattutto, l’armonia dell’insieme, che passo a passo, punto dopo punto, pennellata dopo pennellata.
L’artista colloca il proprio soggetto-oggetto al di fuori del tempo “storico, in una dimensione sospesa, nel tempo della memoria. La mancanza assoluta di riferimenti cronologici e temporali indicano la volontà precisa di eliminare qualsiasi indicazione che non proviene dagli oggetti stessi: è soltanto “cosalità” che prende voce, che si esprime attraverso un gioco sapiente di luce e spazio, che richiama l’attenzione sul “suo” essere – ben oltre il semplice apparire – dalla silenziosa e cristallina immobilità che la circonda.
Ha mirabilmente sottolineato Roberto Tassi:
“ Questa pittura non appare però fantastica, e non realistica; abita nell’interstizio, o nella terra di nessuno, tra le due regioni, respirando un poco l’aria dell’una e dell’altra, ma sfuggendo nella sua essenza ad entrambe. Sfuggendo così a una definizione, a una formula, a una etichetta; e rimanendo però al fondo, come ogni fatto d’arte, un tentativo di conoscere, poeticamente, mediaticamente, e veramente, il reale”.

Cristiana de Leidi

 

OPPOSTE AFFINITA’

I lavori pittorici di Angelica Bottari fanno certamente capo all’iperrealismo, quell’effetto spesso ottenuto ingigantendo le immagini fotografiche e poi lavorando con estrema precisione e perizia sul particolare. Quasi un processo di “ibernazione” dei sentimenti in questa celebrazione della realtà.
La sua tematica si avvale di soggetti che in qualche maniera appartengono al mare: attracchi e riflessi nelle acque del porto, ancore e catene ,reti da pesca, grovigli di sartiame.
Ma a differenziarsi dall’angosciante iperrealismo “americano”, affiora nella stesura pittorica della pittrice un intimismo nostalgico, una tenerezza solare, approdando ad una velata interiorità con “precisioni” e chiarezza intellettuale con una matrice realistica

Teresio Polastro

 

“MONDI OPPOSTI A VEROLANUOVA”

Lo spunto espressivo di Angelica Bottari, attenta alle inflessioni di una mimesi fedele e rigorosa, quasi fotografica, è il mondo che ci circonda, sia esso la fragile tessitura dei rami del platano, sia il riflesso di un mondo acqueo colto in prossimità dei moli, con barche, gomene, catene, ripari di gomma. L’attenzione alla realtà è massima, la tensione cromatica al limite della verità fotografica, con un’ossessione maniacale da antico amanuense ( e in tempi di serialità superficiale, il richiamo non è fuor di luogo): e tuttavia il limite della mimesi viene sovente valicato, vuoi dall’accento cromatico del cielo, che crea un campo nuovo, mentale, in cui immergersi con il pensiero oltre i rami, vuoi dai contrasti di colore tra il mondo azzurro-grigio dell’acqua e quello multicolore delle barche: una relazione che favorisce ancora il viaggio mentale, l’itinerario nell’altrove.
In questo modo Angelica Bottari, conduce i lettori oltre i limiti terreni, in quel luogo della mente che la filosofia ha espresso con la creazione dell’isola che non c’è, Utopia.

Mauro Corradini da “Il Giornale di Brescia” (Arte in Provincia)